Il primo contest silente è stato vinto da Ragnarok.
I giudici (nonostante indecisioni varie) hanno deciso all’unanimità.
Il vincitore (residente a Bassano del Grappa) riceverà a casa una copia autentica dell’imminente Silent Hill: Origins.

Vi riproponiamo l’opera per intero:

Dream of Death

“Dove sono?”

Philip Hazell aprì gli occhi confuso, non riusciva a riconoscere il luogo in cui si trovava: la stanza era immersa nell’oscurità e riusciva a vedere solo grazie ad una flebile luce che veniva dalle finestre incrostate che stavano sopra alla porta d’entrata. Proprio grazie a quella poca luce riusciva a percepire i contorni della stanza e degli oggetti che vi si trovavano all’interno.

Pian piano i suoi occhi si stavano abituando al buio e quello che vedeva gli piaceva ben poco.

Doveva essersi svegliato in un bagno, o almeno in quello che una volta doveva essere un bagno. Le mura, che una volta erano ricoperte di candide mattonelle bianche ora erano solo macchiate di sangue rappreso, non c’era nemmeno un solo centimetro scoperto, eccezion fatta per quei punti ove le crepe lasciavano vedere ampie porzioni di tubature arrugginite.

Che cos’è, uno scherzo?” urlò, ma non ebbe risposta. Respirò a fondo per tentare di calmarsi.

“Dev’essere sicuramente un incubo. Dunque, vediamo,” pensò “l’ultima cosa che ricordo è il viso della mia ragazza, Ellis. Probabilmente ieri sera abbiamo esagerato con l’alcool e adesso sto facendo un brutto sogno.” Ma la sua mente era lucida, troppo lucida, e le sensazioni troppo vive.

No, Philip non stava sognando, si trovava realmente nell’incubo.

Si trvava disteso su una barella e decise di alzarsi in piedi, dirigendosi verso la porta. Voleva uscire. Quella stanza aveva un alone troppo spettrale e l’aria era irrespirabile, stantìa, pregna di umidità.

Fece un paio di passi e si trovò con la faccia a pochi centimetri dal pavimento. “Ma che diavolo…?” esclamò. Guardò ai suoi piedi e vide che c’era un coltello da cucina piantato tra le piastrelle del pavimento. “E questo cosa ci fa in un bagno?” ma non trovando nessuna risposta logica smise di farsi domande, si rimise in piedi, sfilò il coltello dal pavimento e rimase pietrificato: un urlo agghiacciante gli riempì le orecchie, un urlo che veniva proprio dal punto dove aveva tolto l’arma.

Cominciò a fissare quel punto intensamente, si accorse che da lì cominciava a gorgogliare sangue e ben presto si formò una pozza di discrete dimensioni. Continuò a pensare a quello che stava succedendo, le domande si insinuavano nel suo cervello e non lo lasciavano in pace un attimo.

Improvvisamente si ricordò di avere un’accendino in tasca e lo tirò fuori nella speranza di poter vedere meglio quella pozza. Non riusciva ad accenderlo.

I primi due o tre flash delle scintille gli ferirono quasi gli occhi, ma quello che vide alla quarta volta, quando l’accendino si accese definitivamente, lo immobilizzò dal terrore. Gli sembrava di vedere qualcosa nella pozza di sangue e dalla paura si ustionò il dito, facendo spegnere la fiamma. Ora Phil era totalmente terrorizzato, voleva solo chiudere gli occhi e svegliarsi nel suo letto, non voleva più riaccendere la flebile luce scaturita dalla fiamma. Fu però costretto a farlo quando sentì qualcosa venire proprio da quella direzione, come un rumore di carne lacerata.

Lo riaccese, e con il cuore colmo di paura vide che dalla macchia di sangue spuntava una testa dalle sembianze umanoidi. Era letteralmente terrorizzato, rimase a fissare quella cosa che spuntava lentamente dal pavimento, con tutti i peduncoli di carne che si strappavano man mano che si tirava fuori a fatica. Con un ultimo colpo la creatura si tirò fuori dalla pozza come se venisse “vomitata” dal terreno e si mostrò in tutto il suo orrore: un ammasso di carne purulenta, qualcosa di vagamente somigliante ad una donna veniva verso Philip. Le braccia e le gambe ricoperte di vene varicose pulsanti, ricolme di un sangue nero come la sua anima, il dorso ricurvo, gobbo, piegato da una sofferenza lunga anni.

Phil non sapeva più cosa fare, era in preda al panico.

In un attimo di lucidità lasciò cadere l’accendino che si spense subito, e fuggì in direzione della porta sperando di riuscire a scappare dalla creatura, ma la porta non si mosse di un millimetro, era chiusa a chiave. Era in trappola. Il mostro si avvicinava lento ed inesorabile.

Non aveva molte possibilità di scampo e in un attimo di lucidità si accorse di avere ancora il coltello in mano, così decise di rischiare il tutto per tutto, salvandosi combattendo fino all’ultimo.

Alzo l’arma, che in quel momento la sentiva molto pesante come se fosse fatta di piombo, ma non si voleva assolutamente arrendere, ne andava della sua vita, voleva vivere. La abbassò sfruttando in pieno il peso del coltellaccio e la fece affondare nel mezzo del petto della creatura femminile che si accasciò al suolo gorgogliando un liquido di color verdastro dalla gola.

Philip ringraziò il cielo di essere stato abbastanza veloce da colpirla. Non fece nemmeno in tempo ad aprire bocca che un sibilo acuto gli perforò il cervello. La vista gli si annebbiò, le ginocchia gli cedettero e crollò al suolo privo di sensi.

Aprì gli occhi. Stava guidando la sua macchina per le strade di campagna, attorno a lui c’erano solo campi, una visione rilassante interrotta ogni tanto da qualche platano. “Possibile che mi sia appisolato per qualche secondo? Sto guidando da ore senza sosta, meglio che stia un po’ più attento, d’altra parte non è stato un bel sogno. Devo concentrarmi.” Si voltò verso il sedile del passeggero e là la vide.

I neri capelli le ricadevano sulle spalle e le incorniciavano il viso armonioso, rilassato, il viso di chi sta facendo sogni puri.

Lentamente lei s destò da quel dolce sonno.

“Ciao amore” disse lei, “ho dormito tanto?”

“No tesoro, solo un’oretta. Il viaggio è piuttosto lungo, se vuoi riposare ancora fallo pure” Rispose Philip.

“Nah, voglio godermi un po’ il paesaggio. E’ da molto tempo che non viaggiamo insieme. Ti ricordi quella volta in montagna? Il giro attorno al lago e quella
pi
ccola baita?”

“Me lo ricordo come se fosse ieri, credo che sia stato uno dei più bei giorni che abbiamo passato insieme”.

Lei sorrise e il suo volto si illuminò.

La strada proseguiva tra le colline e ben presto la vista dei verdi colli (che aveva sostituito i campi in fiore) lasciava spazio a montagne sempre più alte. Philip era molto felice, voleva portare Ellis di nuovo in quel posto, voleva rivivere quelle belle sensazioni.

“Ti amo tanto” disse lei a lui. “Anch’io ti amo tanto” rispose.

“Ma dimmi una cosa, cos’è che ti ha fatto perdere la testa per me?” gli chiese.

“Beh, il fatto che sei morbida!” disse sorridendo.

Sorrise anche lei. Avrebbe voluto ricevere una risposta più intelligente ma sapeva che Philip era fatto così. In verità i motivi per cui la amava erano i più puri che potessero esistere. La amava perché per lei non esisteva niente oltre a lui, metteva sempre la sua felicità davanti a tutto, l’aveva aiutato a venire fuori da un brutto periodo (cosa che fece anche lui), inoltre lei non sapeva mentire neanche sulle cose più insignificanti, aveva bisogno di essere totalmente sincera con lui, e lui amava questa caratteristica.

La strada cominciava ora a farsi un po’ pericolosa, in quel tratto uno strapiombo sulla destra faceva sì che Phil dovesse concentrarsi sulla guida.

“Si sta alzando la nebbia.” disse Ellis, e lentamente si addormentò di nuovo.

Anche gli occhi di lui si facevano più pesanti. Cercò di resistere in tutti i modi, inutilmente, perché alla fine le palpebre si abbassarono definitivamente.

Nell’oscurità sentì un botto.

Philip aprì novamente gli occhi e si guardò intorno. La testa gli doleva molto e faticava a a tenere gli occhi aperti. Quando finalmente riuscì ad aprirli del tutto osservò quello che lo circondava. Si trovava in una stanza molto sporca: le pareti bianche erano incrostate dal calcare e dalla ruggine. Lui si trovava legato ad una barella, impossibilitato a muoversi, e con la testa proprio sotto al cassone di un wc che gocciolava direttamente sulla sua fronte. L’aria in quella stanza era fresca nonostante l’odore di muffa, la luce filtrava attraverso le finestre sopra la porta… “Ma allora mi trovo nella stessa stanza di quell’incubo, cosa sta succedendo?”

Non riusciva a capire.

Si voltò verso la porta e sussultò. Lì in piedi si trovava una donna vestita con un lungo cappotto nero, i capelli bianchi che le arrivavano al petto, ma la cosa più strana era che non riusciva a distinguerle il volto, aveva un alone di oscurità che non gli permetteva di distinguerne i tratti somatici. L’unica cosa che poteva vedere erano i suoi occhi bianchi e freddi come il cielo autunnale.

“Chi sei? Dove mi trovo?” disse Philip.

“Diciamo che sei in quello che una volta era un’ospedale” rispose la donna.

“Allora ho fatto un incidente con l’auto… Dov’è Ellis? Sta bene?”

“No, nessun incidente però non sta bene, le hai fatto male”

“Oddio, dov’è? Voglio vederla!”

“Non puoi vederla, tu non vuoi vederla”

“Come sarebbe a dire? Voglio vedere la mia ragazza, liberami da questa barella!”

“Non credo di poterlo fare, c’è il rischio che tu le faccia di nuovo male. Ti devi occupare di me, soltanto di me”

“Ma tu chi sei? Nemmeno ti conosco!”

“Sono parte della tua coscienza, sono colei che volevi.”

“Ma di cosa stai parlando? Liberami subito!”

“No, non ti libererò. Devi capire una cosa. Tu non ami Ellis nemmeno un po’. Le hai fatto molto male, un male per cui non c’è una cura. Non la ami…”

“Non è affar tuo!”

“Tu credi? Eppure per quel bacio, per quella notte appassionata non hai esitato un attimo ad affidarti alle mie braccia e al mio corpo”

“Tu menti!” disse Phil.

“Affatto, sei un mostro, solo che ancora non lo sai, l’hai rimosso dalla tua testa perché ti faceva comodo, perché era un ricordo troppo pesante da sopportare per te”

“Smettila! Stai dicendo una marea di cazzate! Io amo Ellis, non potrei mai farle questo…”

“Visto che non mi credi dovrò usare una terapia d’urto”

Improvvisamente le budella di Philip furono pervase da un dolore insopportabile. La testa sembrava scoppiargli, l’intero corpo sembrava voler esplodere. La stanza si stava facendo oscura, tutto stava diventando buio e in cuor suo sapeva che stava entrando nuovamente nell’incubo. Una sirena suonava in lontananza e Phil si chiedeva cosa stesse succedendo, perché doveva sopportare tutto questo? Ma non era una sirena quella che stava sentendo, era un urlo acutissimo, allucinante e interminabile, e quello che era peggio proveniva dalla sua bocca. Il dolore era insopportabile e dopo pochi minuti Philip svenì.

Si risvegliò nella stessa stanza buia. L’odore dolciastro del sangue impregnava l’aria stantìa, puzzava di vecchio. Philip si alzò, le gambe gli tremavano ma voleva a tutti i costi andare via da quel luogo, non sopportava più quel clima, quell’atmosfera pesante. Così si incamminò verso la porta a passi lenti, non era più legato alla barella e il coltello che poco prima aveva usato per uccidere il mostro era ancora nella sua mano. Visto che la serratura ancora non si decideva ad aprirsi decise che forse gli conveniva fare a pezzi la porta e proseguire oltre. E così fece. Non passò molto tempo che riuscì a creare una breccia sufficientemente ampia da riuscire a passarci agevolmente, gli sembrava strano aver sfondato la porta con tale facilità, quasi fosse fatta di cartone ma non se ne preoccupò molto, dato
che il suo unico pensiero era quello di fuggire al più presto e ritrovare Ellis. Invece la sua preoccupazione aumentò non poco appena ebbe varcato la soglia: nella penombra di quel lungo corridoio intravide delle sagome mostruose muoversi a pochi metri di fronte a lui e per un attimo rimase pietrificato dal terrore. Già aveva dovuto affrontare quell’orrenda creatura dalle sembianza femminili, che cosa lo aspettava ora? Non fece nemmeno in tempo a chiederselo. Quelle ombre si voltarono nella sua direzione e non appena lo videro lanciarono un sibilo acuto e stridente, tanto forte da fargli male alle orecchie. Si voltò per scappare da dove era venuto ma come si girò il sangue gli si gelò nelle vene. Ad un paio di metri da dove si trovava, dilà dalla porta, stava in piedi un essere abominevole. La sua testa era enorme e la forma gli ricordava quella di una piramide. Nella mano un coltello talmente grande da poter tagliare in due un cavallo adulto con un solo colpo. Un enorme blocco di ferro.

Non riusciva a muovere un muscolo, a malapena respirava, il terrore lo aveva bloccato e la creatura lo fissava immobile come un felino pronto a scattare per afferrare la sua preda. Philip rimase a bocca aperta, l’espressione di stupore gli si stampò in volto. Gli bastarono pochi attimi per capire che non era la paura a bloccarlo, ma solo la consapevolezza. Non stava uardando la creatura con la testa a piramide attraverso la fenditura che aveva creato nella porta, stava guardando la sua immagine riflessa su uno specchio incrostato di ruggine. Finalmente capì. La donna aveva ragione, era diventato un mostro, il suo subconscio lo mostrava per com’era e finora non se n’era reso conto. Capì molte cose, capì la pesantezza del coltello, capì il mostro-donna, capì di com’era riuscito a materializzare tutti i suoi sensi di colpa senza rendersene conto, la mente gli sbloccò tutti i ricordi. Di come tradì la sua ragazza, di come mentiva, di come la trattava, si ricordò tutta la parte di vita vissuta insieme a lei.

Philip si sentiva affranto, in un attimo si chiese come potesse continuare a vivere con quel rimorso.

Ci pensò poco, molto poco. Dopo qualche secondo il rimorso era talmente grande che girò il coltello verso il suo stomaco e lo fece correre attraverso di se.

Phil si accasciò al suolo, continuava a vedere la sua immagine mostruosa riflessa dallo specchio, le lacrime gli correvano lungo il volto, la vita lo stava abbandonando. Chiuse gli occhi.

Nell’oscurità sentì una voce familiare, una voce che non avrebbe potuto mai dimenticare, Ellis lo stava chiamando. Aprì gli occhi. Tutto era avvolto dalla luce, riusciva a vedere solo una ragazza dai capelli neri vestita con un lungo abito bianco.

“Ciao amore mio” disse Ellis “ finalmente sei arrivato”.

Philip la guardò per un istante, il tempo sembrava essersi fermato, quell’attimo sembrava durare un’eternità. Poi scoppiò in lacrime.

Lei lo abbracciò “Non piangere amore mio” disse.

“Come faccio a non piangere? Tutto quello che ti ho fatto… io… non mi rendevo conto, non sapevo quanto fossi speciale… Non sapevo quanto mi mancassi, non ti ho mai dato la giusta importanza se non quando non c’eri più. Ora vivo in mezzo ai ricordi. Dei bei ricordi. E’ strano, sono le piccole cose a mancare di più, quelle a cui daresti meno importanza. Un tuo profumo, come canticchiavi quando preparavi una torta, il rumore delle pagine quando leggevi un libro fino a tardi, una carezza…” rispose Phil.

“Adesso non ti devi preoccupare amore, è tutto passato, è tutto finito. Pensa ad andare avanti…”

“Non posso Ellis, senza di te ha tutto perso di significato.”

“Allora abbandonati al mio abbraccio, lasciati andare e chiudi gli occhi” disse la ragazza.

Philip fece proprio così, chiuse gli occhi.

Li riaprì e si trovava nuovamente in macchina, gli sembrava di essersi appena svegliato da un lungo sogno. Si voltò verso il sedile del passeggero e là la vide.

I neri capelli le ricadevano sulle spalle e le incorniciavano il viso armonioso, rilassato, il viso di chi sta facendo sogni puri. Attorno al suo collo aveva ancora la corda con cui si era impiccata. Philip non sopportava di averla persa per colpa di quello che aveva fatto. Ma ora lei sembrava in pace. Un senso di ansia gli prese allo stomaco, non stava bene, non dopo quello che era successo.

Guardò davanti a sé, ma non c’era la strada.

L’ultima cosa che vide Philip era il fondo dello strapiombo. Poi chiuse gli occhi per l’ultima volta.

Nell’oscurità sentì un botto… e poi niente più.