I videogiochi di Shinji Mikami hanno da sempre assunto un ruolo fondamentale e determinante per il genere survival horror: Resident Evil ha segnato la sua esplosione e Resident Evil 4 il suo inesorabile declino. Proprio dal quarto episodio, Mikami abbandona Capcom fondando qualche tempo dopo un proprio studio di sviluppo battezzato Tango Gameworks (assorbito successivamente da Bethesda). Con un proprio team e publisher che gli garantisce completa libertà creativa, Mikami può ripercorrere la strada che lo ha reso celebre rilanciando il survival horror “di una volta” attraverso la nuova IP The Evil Within.

In The Evil Within il malcapitato protagonista è Sebastian Castellanos, detective di polizia della immaginaria metropoli di Krimson City la quale diventa scenario di un autentico inferno: una forma maligna di ignora origine ha infatti ridotto in brandelli la città con Castellanos, un paio di colleghi e un paziente dell’ospedale psichiatrico (Leslie) costretti a fuggire e combattere contro creature aberranti e incredibilmente feroci. Naturalmente Sebastian si ritroverà inghiottito in una vicenda dai risvolti distorti e agghiaccianti.

Già dalla prima occhiata non si può fare a meno di notare lo stampo decisamente “classico” del gameplay di The Evil Within: siamo letteralmente indietro 10 anni anche se, a dispetto di Resident Evil 4, qui Sebastian può sparare e camminare contemporaneamente. Non c’è quindi una novità sostanzialmente che brilla su The Evil Within a parte una lieve spruzzata stealth (fattore inedito per Mikami) appena accennata e nulla di più. In ogni caso il gioco non si rivela mai noioso: alternativamente si affrontano mostri o, a seconda delle situazioni, si evitano oppure si risolvono enigmi (non complicati a dire il vero) o si esplora qua e là con tutta la pazienza del mondo.

E se il gameplay è una riproposizione modernizzata di un meccanismo che anni fa era lo standard, ciò che ruba l’occhio in assoluto è il comparto artistico: la maggior parte degli scenari di The Evil Within sono di fattura pregevolissima e di grande impatto psicologico: non si può non restare inorriditi e impietriti per l’alto tasso di gore e orrore che il gioco presenta. Per i mostri vale lo stesso discorso: gli “infetti” forse sono un po’ troppo “standard” ma i boss sono numerosi, cattivi, brutti brutti (nel senso buono) e senza alcuna pietà sposando perfettamente le atmosfere malate del titolo.

Sotto il profilo artistico quindi The Evil Within non solo mantiene le promesse ma va molto oltre mostrando una imponenza scenica che nel genere horror ha pochi eguali (almeno in questa gen). Una grossa novità per Mikami, che generalmente ha sempre lavorato su trame da B-Movie senza troppi fronzoli, riguarda la narrazione e la trama: incredibilmente misteriosa e poco chiara dall’inizio alla fine richiedendo, esattamente come si faceva in passato, più rigiocate per captare ogni singola sfumatura della storia.

Chiudendo questa breve recensione, una cosa che veramente non va in The Evil Within è solo il comparto tecnico: purtroppo l’inesperienza del team ha pesato molto e visivamente il gioco ne ha risentito abbastanza. Un peccato anche se non ci strappiamo i capelli.

Commento
Mikami ha promesso e Mikami ha mantenuto: The Evil Within è la risposta a coloro che chiedevano a gran voce il survival horror “di una volta” sotto ogni aspetto con un tasso survival elevatissimo. E’ sorprendente vedere come anche Mikami, per certi versi, sia “cresciuto” passando dalla violenza puramente “visiva” di Resident Evil a un orrore interiore (il “male dentro”…) o comunque non esclusivamente esteriore. Non rappresenta il miglior lavoro della storia videoludica ma sicuramente saremmo ben contenti di vedere più titoli di questo calibro.