La generazione scorsa ha purtroppo segnato un brusco stop alla creatività e all’arte survival horror con tante ip del periodo “classico” (fine anni 90) che non sono più capaci di sorprendere come ai fasti. In tutto questo c’è anche chi ha voluto rischiare con successo ed è stata EA: Dead Space ha avuto, seppur con qualche sbavatura più o meno evidente, il merito di rendere la USG Ishimura del primo episodio un vero e proprio inferno interstellare dove ogni pericolo è dietro l’angolo e dove l’angoscia (dettata anche dall’interpretare un “semplice” ingegnere capitato nel momento sbagliato al posto sbagliato) morde a tal punto da mandare in paranoia. Questo almeno fu con il primo episodio in quanto già con il secondo la componente action è stata meglio enfatizzata a discapito dell’atmosfera. Con il secondo però, giacché nel primo era fin troppo frammentata e poco sviluppata, la trama si sviluppa in maniera maggiormente vigorosa con Isaac che diventa perno e figura centrale all’interno dell’universo composto dal famigerato Marchio e dal culto di Unitology. Inevitabile che con il terzo episodio (sempre nei panni di Isaac Clarke) si arriva a un punto di svolta fondamentale e, senza svelare troppi dettagli, direi quasi risolutivo.

Con Dead Space 3 il rischio di avere uno sparatutto in terza persona a tutti gli effetti era alto per via di numerosi elementi annunciati ed evidenziati da EA: modalità cooperativa, coperture, capriole e nemici umani (oltre agli necromorfi sia ben chiaro). Quanto è mutato quindi la serie? Molto poco a dire il vero: tutte le novità di gioco sono assolutamente marginali e per giunta anche mal implementate. I combattimenti contro gli umani (gli affiliati a Unitology per la precisione) sono ridicoli in quanto le coperture sono mal gestite, le capriole sono inutili (e per giunta animate anche male) e la IA nemica persino più bassa di quella dei necromorfi. Anche il “banco” delle armi non convince al 100%: l’idea di base è buona in quanto fornisce un livello di personalizzazione e di flessibilità dell’arsenale elevatissimi, solo che appunto è stato fin troppo estremizzato rispetto alla formula fin troppo semplice dei precedenti episodi. Una via di mezzo forse non avrebbe guastato ma nel complesso, soprattutto nelle fasi di gioco più avanzate, questa trovata rappresenta uno degli elementi più positivi di Dead Space 3. Anche il procacciamento delle risorse, grazie all’uso di robottini di servizio, è ben studiato e calibrato allo sviluppo sia delle armi sia della tuta di Isaac.

Nel complesso quindi, a parte lo sviluppo e la gestione delle armi totalmente stravolti, chi ha saputo apprezzare le meccaniche dei passati episodi sarà compiaciuto nel sapere che sono state riproposte allo stesso modo: stasi e telecinesi (soprattutto la seconda) rimangono elementi di gioco imprescindibili e fondamentali e, anche impostando la difficoltà più bassa, solo con un utilizzo ingegnoso di queste abilità è possibile sopravvivere all’orrore disumano dei necromorfi che, vedremo, meritano un discorso separato.

I necromorfi infatti hanno, quasi inspiegabilmente, subito un restyle estetico che non rende giustizia alla loro magnificenza: non brillano particolarmente e un occhio abbastanza attento si accorgerà che potevano essere decisamente fatti meglio. Inoltre in alcune sezioni appaiono in quantità decisamente troppo estrema dando al gioco, in maniera simile al precedente episodio, una impronta eccessivamente action quando invece, come nel primo capitolo, sarebbe stato meglio includere meno nemici ma più pericolosi. Non ci sono poi boss a parte uno che si ripete continuamente. In sostanza non c’è mai una strategia diversa da nemico a nemico: spara agli arti e basta. Fortunatamente, soprattutto nelle location chiuse, la tensione comunque resta sempre quella e il disagio tipico di chi non sa cosa ci si aspetta dietro l’angolo è sempre vivo e presente.

Sempre restando in tema comparto artistico, un grosso passo indietro è stato fatto anche con il design delle tute di Isaac: assolutamente anonime e prive di spessore per quella che dovrebbe essere una vera icona della serie. Un vero peccato.

Fortunatamente la storia, come detto prima, resta sempre molto interessante anche se a volte la narrazione viene diluita in maniera eccessiva. Non convincono purtroppo, tradizione della serie, gli interpreti (soprattutto i comprimari) ma questo può non rappresentare un difetto se già si era chiuso un occhio per gli episodi passati.

Molti sforzi sono stati fatti da parte di Visceral Games per la modalità co-op: una buona trovata, fortunatamente non vincolante come nei recenti Resident Evil, per rendere le partite più piacevoli e divertenti (e perchè no anche per qualche risvolto in più della trama). La durata è molto buona: considerando il buon numero di subquest e di collezionabili, servirà almeno una dozzina di ore per riuscire a portare a termine l’avventura di Isaac che, salvo ripensamenti da parte EA, chiude definitivamente il cerchio riguardo il famigerato Marchio.

Commenti finali
La saga di Dead Space è stata quella che con dignità e, perchè no, qualche sprazzo di qualità ha saputo non distogliere del tutto l’attenzione del pubblico sul action a sfondo horror. A discapito di tutta la pubblicità che volevano questo gioco come un polpettone action senza sostanza, in Dead Space 3 c’è molto più arrosto di quello che sembra (anche se rimane sempre un arrosto non del tutto saporito e per certi versi anche ammuffito). Le novità introdotte non convincono appieno ma in compenso tutto quello che c’era di buono (a parte il design dei necromorfi e delle tute di Isaac che hanno subito un drastico passo indietro) è stato mantenuto, merito anche di una trama finalmente meno criptica e a punto di svolta decisivo. Un gioco riservato per coloro che hanno saputo apprezzare i precedenti capitoli sia per le atmosfere tetre e disturbanti sia per il gameplay divertente e frizzante.