E’ innegabile che, soprattutto con il progresso dei motori grafici e delle capacità di calcolo delle piattaforme (PC su tutte ovviamente), il medium videoludico si sia evoluto raggiungendo stadi diversi dal semplice ruolo di “intrattenitore”. C’è possibilità che possa diventare un autentico linguaggio capace di trasmettere qualcosa di diverso da tutto il resto, un qualcosa che si sintetizza in un termine: quello del “metagioco” che prende la natura del videogioco e la trasforma in una sorta di mezzo di comunicazione (in)diretta tra team di sviluppo e giocatore.

Senza dubbio i principali esponenti di questo particolare esperienza sono i Galactic Cafe e il loro titolo di culto: The Stanley Parable. Parlare di The Stanley Parable in termini pratici, sintetici e comprensibili è semplicemente impossibile e quindi posso solo limitarmi a descriverlo esteticamente: nel gioco siamo un impiegato identificato con un numero (il 427) di nome Stanley il quale si ritrova, senza un motivo apparente, solo all’interno del complesso di uffici in cui lavora. Una voce narrante ci parla descrivendo quello che sta succedendo e descrivendo gli eventi che stanno per accadere. Proprio la voce narrante si rivela essere la vera protagonista di The Stanley Parable: il gioco ci offre una libertà decisionale inaspettata dando vita a situazioni e avvenimenti capaci di fornire esperienze assolutamente folli e irresistibili (appunto del tutto complicato da definire) grazie appunto alle reazioni del narratore sul nostro comportamento (reazioni come per esempio il riavvio continuo del gioco, riflessioni filosofiche assurde nonchè un certo sadismo nel voler “torturare” il giocatore quando prendere una decisione diversa da quella impostata dal gioco).

Insomma, come si è capito, descrivere The Stanley Parable è una impresa ma su un punto non si può eccepire: aldilà della comicità grottesca e dei comportamenti strambi del narratore, il gioco offre un simbolismo che pochissimo giochi sanno regalare. Parliamo del protagonista: l’impiego di Stanley consiste nel premere dei pulsanti visualizzati su un monitor e la sua esistenza è vuota, pilotata e dove il libero arbitrio non esiste. Durante la partita entriamo in gioco noi che, in sintesi, siamo la coscenza del protagonista: vogliamo continuare a fare quello che ci viene imposto seguendo un tracciato ben delineato oppure prendiamo scelte differenti? Questo è il tema dominante del gioco: la scelta, in tutte le sue forme e conseguenze. C’è molto di Sliding Doors in The Stanley Parable: una scelta diversa davanti a un bivio porta a situazioni totalmente diverse da altre che ci sarebbero capitate se avessimo scelto l’altra opzione.

In secondo luogo, c’è il tema della dipendenza: buona parte degli esseri umani esistono perchè “guidati” da altri (una guida che può assumere varie forme: politica, religione o semplicemente i media sono esempi perfetti) e senza questa guida il senso della vita viene meno.

Commenti finali
Stiamo parlando di tematiche potenti dato che la parabola di Stanley non è altro che la parabola della nostra vita: se veniamo guidati e non si fanno scelte, fondamentalmente si ha una esperienza prevedibile e senza brividi. Al contrario più deviazioni si fanno e più si riesce ad avere un arricchimento spirituale “completo”. Come detto prima, tramite Stanley e il narratore non stiamo facendo altro che interloquire direttamente con i Galactic Cafe mediante la formula del “metagioco”. Confesso che questa valutazione sembrano più una serie di riflessioni che una vera e propria recensione…. ma in fondo anche per The Stanley Parable vale lo stesso principio.