Opere di qualsiasi tipo (non necessariamente vg) di solito raccontano vicende prendendo spunto da fatti e vicissitudini che avvengono quotidianamente. Una sorta di metamorfosi dell’ordinario in qualcosa straordinario, strambo e fuori di testa.

E’ il caso perfetto di Distraint che, già dal nome, fa intendere fin da subito dove si vuole andare a parare: è la storia di un giovane di nome Mr. Price che, desideroso di sbarcare il lunario e fare il salto di carriera definitivo presso un’importante compagnia, accetta l’incarico di espropriare alcune abitazioni costringendoli a firmare dei documenti di pignoramento. Il compito è tutt’altro che facile dato che riflessioni, dubbi e perplessità maturano fino a sfociare in sensi di colpa e conflittualità interiori. Stati d’animo che nel gioco si riflettono in allucinazioni, perversioni e visioni tipiche di un horror a stampo psicologico.

Badate bene che nel gioco non c’è nulla di “strano”: non ci sono virus, maledizioni, antichi terreni indiani, sciamani, bambine demoniache ecc…. ma solo Mr. Price come metafora dell’uomo schiavo di un sistema che impone regole ferree e implacabili, nonchè metafora dell’uomo incapace di alzare la voce in quanto troppo stordenti per le sue stesse orecchie e troppo “inqualificabili” per la società. Il protagonista, nella sua semplicità grafica, è inserito in un contesto narrativo molto maturo e vero rendendo Distraint un’opera autoriale (sviluppata da un singolo sviluppatore: Jesse Makkonen, già autore di Silence of the Sleep di cui, con Distraint, codivide diverse tematiche in comune) dal taglio fortemente neorealista e dove, per una volta, manifestazioni e visioni horror non rappresentano necessariamente la punta di diamante.

Dal punto di vista prettamente ludico, il tasso di sfida del gioco è basso: l’opera è volutamente story-driven e sviluppata appositamente per non avere grandi interruzioni; gli enigmi infatti sono molto semplici, non richiedono logica e si basano sul classico modello “trovare un oggetto X e utilizzalo in un punto Y”. Mi sembra abbastanza chiaro che il gioco non si rivolge affatto a un’utenza in cerca di divertimento o di sfide complicate (considerando poi che nel gioco non si può neanche morire dato che non ci sono nemici ma solo ostacoli ambientali). Essendo un indie game sviluppato in meno di 3 mesi da un solo developer, non si rivolge neanche a chi cerca esperienze longeve in quanto il titolo è terminabile facilmente in un pomeriggio.

Commenti finali
Distraint sono quei giochi da adorare a prescindere per l’aspetto puramente autoriale dell’opera: niente loghi, niente presentazioni e niente credits chilometrici ma solo un semplice “Un gioco di Jesse Makkonen”. Opere come queste contribuiscono enormemente alla maturazione di un medium sempre più aperto a infinite possibilità come mezzo per raccontare storie di vita quotidiana. Restiamo in attesa del sequel da poco annunciato.