Sette, esoterismo e fanatismo religioso sono temi classici e sempre molto gettonati tra gli amanti di letteratura, cinema e videogiochi horror. Sono anche temi abbastanza “pericolosi” da trattare perchè tendenzialmente molto complessi e con alto rischio di produrre un pastrocchio. Un po’ a sorpresa, a intraprendere questa via è il sequel di un gioco, Outlast, diventato a tutti gli effetti un brand di successo capace di attirare l’attenzione anche di un pubblico non per forza appassionato di survival horror. Proprio per questo l’attesa per questo secondo episodio è stata abbastanza spasmodica in quanto, stando alle preview, il gioco avrebbe ripreso la formula vincente del primo episodio ma proiettata in un contesto di gioco del tutto differente.

Questo lo si denota immediatamente dalle prime battute: una giornalista freelancer (Lynn) e suo marito (Blake nonché protagonista del gioco) volano in elicottero su un’area delle Montagne Rocciose dell’Arizona per indagare su una donna incinta morta in circostanze misteriose. Neanche il tempo di preparare il video di apertura che qualcosa di inaspettato accade: un lampo accecante nel cielo, il motore dell’elicottero che non funziona più e il mezzo, di conseguenza, che precipita. Miracolosamente vivi, Lynn sparisce e Blake perlustra l’area scoprendo che sua moglie è stata presa da membri di una comunità locale particolarmente “devota” e collocata in un’area chiamata “Temple Gate”, luogo isolato sia fisicamente che temporalmente dato che, nella mentalità dei suoi abitanti, siamo praticamente rimasti indietro al medioevo. Comunità così devotache l’incidente dell’elicottero viene visto come un segno del cielo dell’avvento dell’Apocalisse nonchè della nascita imminente dell’Anticristo (di cui Lynn sarebbe la madre). Blake si imbatte fin da subito nella follia e nella natura feroce e atroce di questo gruppo di fanatici guidato spiritualmente dal “Papa” Knoth e dalla sua fedele seguace, una donna di nome Marta (detta non a caso “L’occhio di Knoth”) armata di piccozza a forma di croce e dall’aspetto molto simile a quello della morte.

E’ bastato questo incipit per creare una netta presa di distanza dal primo Outlast che, per quanto crudo e malato (soprattutto il suo DLC Whistleblower), non aveva nella trama il suo nell’aspetto artistico generale i suoi punti forti puntando invece molto di più su del buono e sano intrattenimento horror, il tutto senza scadere nel ridicolo e nel banale. Proprio per via di queste riflessioni, si potrebbe definire Outlast come un “indie horror dalla forte ascendenza tripla A”. Con Outlast 2 il discorso si rovescia quasi totalmente: protagonista molto più “vivo”, presenza di scene scriptate, ambienti ampi, nemici più vari di aspetto e comportamento, trama molto più intrigante e più “matura” sicuramente. Provocatoriamente quindi mi viene da definire Outlast 2 un “horror tripla A dalla forte ascendenza indie” proprio perchè, nonostante sia una produzione effettivamente indie, è una produzione talmente “in grande” che non si riesce ad accostare totalmente alla scena indie (seppur ne mantenga quel senso di “artigianalità” che rende più corte le distanze tra l’autore e il videogiocatore). Un livello comparabile probabilmente solo con le opere di Frictional Games.

Outlast 2 è una autentica meraviglia per gli occhi: l’America rurale non è una novità ma se ancora oggi viene proposta evidentemente è una formula che non passa mai di moda. Il motivo è semplice: un contesto del genere è sinonimo di esplorazione nei meandri dell’essere umano chiuso in se stesso e schiavo della propria fede. Aspetto che non viene tralasciato neanche per il protagonista dato che il gioco presenta anche sezioni (come dei flashback) apparentemente sconnesse con Temple Gate e il rapimento di Lynn. Sezioni ambientate all’interno di un istituto scolastico gestito dalla chiesa cattolica nonchè istituto frequentato da Lynn e Blake. Flashback che escono fuori per mostrare qualcosa legato al passato del protagonista. Proprio questo è stato uno degli aspetti più singolari e sorprendenti di Outlast 2 in quanto dà una connotazione al gioco tipica del genere horror psicologico soprannaturale (elemento del tutto estraneo al primo film). Aspetto, dalla critica, anche molto contestato proprio per l’apparente estraneità di queste sequenze con la vicenda principale generando senso di confusione e incomprensione.

Dove è la verità? Dentro di voi e da cosa si cerca all’interno di una esperienza forte e intensa come quella di Outlast 2: forse ogni tanto dovremmo smettere di essere troppo razionali e ostinarci a cercare sempre una spiegazione o una risposta a tutto quanto. Ci vogliamo convincere dello status artistico dei videogiochi quando sappiamo bene che è l’arte stessa a non ammettere spiegazioni. Questo è anche il gioco stesso a suggerircelo dato il tema (come quello religioso) tutt’altro che di facile comprensione. Outlast 2 vuole essere pura esperienza da incubo e i RedBarrels, tramite l’opera, hanno espresso il loro grande talento per proporre soluzioni e metodologie horror di gran classe.

Con tutti questi stravolgimenti, cosa c’è davvero di Outlast quindi in Outlast 2? Il gameplay naturalmente: era l’aspetto più rappresentativo nel primo episodio e RedBarrels non poteva fare altro che riproporlo con qualche miglioria. Saremo quindi sempre con la nostra fidata telecamera a infrarossi a caccia scrupolosa di pile ma non solo: sulla camera è presente un microfono che, quando verrà abilitato, ci permetterà di ascoltare le voci di chi si trova nelle nostre vicinanze. Una maniera per incitare un approccio più stealth in determinate situazioni. E’ interessante notare la natura dei nostri nemici. In Outlast infatti erano tutti fatti con lo stampino sapendo esattamente come si sarebbero comportati; in Outlast 2 al contrario possono capitare abitanti dal comportamento ambiguo: gran parte di questi ci attaccherà appena ci vedono ma può capitare anche di imbatterci in individui che non ci torceranno un capello (a patto di non andare a disturbarli) o addirittura qualcuno che ci implora grazia e misericordia (essendo noi “padre” dell’Anticristo). Capiterà qualche volta quindi di restare a disagio da questi comportamenti.

E le folli corse disperate da maratoneti? Ci sono ci sono ma, complice la “sfiga” di essere un sequel, rimangono sì eccitati ma con la sensazione di essere meno spettacolari e adrenaliniche del primo Outlast. Il motivo è molto semplice: questo gameplay era stato studiato e architettato per bene per esse sfruttato al meglio nei corridoi e nelle stanze del manicomio del Colorado; in questo sequel la presenza di luoghi più aperti favorisce di più il senso di smarrimento e non aiuta a trovare punti di riferimento con facilità. A questo si aggiungono alcune situazioni di gioco (soprattutto nelle parti iniziali) forse non proprio ben studiate dai designer di RedBarrels e che inducono il giocatore in frustranti sezioni di trial and error (problematiche che il team ha subito compreso provvedendo al rilascio di una patch). Non è casuale che nella seconda parte, dove si ritorna a sezioni più chiuse e claustrofobiche, si torna a sentire quelle tipiche sensazioni di “adrenalinica velocità” tipica del primo Outlast, come se il team si fosse accorto solo dopo che si stesse prendendo una strada un po’ troppo accidentata. Non che si parli di problemi veramente gravi: una volta superate le parti problematiche e terminata la “fase di adattamento”, Outlast 2 rimane un gioco anche dannatamente divertente da giocare (specie se rigiocato in run successive).

Cosa mancherebbe ulteriormente a Outlast 2 per essere migliore? Probabilmente ciò che mancava anche al primo episodio: una gameplay con maggiore interazione ambientale e, ma giusto come optional, qualche enigma più impegnativo del telefonato “trova l’oggetto X e piazzalo nel punto Y”. In un possibile terzo episodio, una evoluzione in questo senso sarebbe più ragionevole in modo tale da avere una esperienza ancora più ricca.

Nulla da aggiungere sui rami sonori e longevità: il primo fa la sua onesta parte grazie a un buon doppiaggio e a una buona resa degli effetti sonori in tutte le situazioni (immancabile la tipica BGM tambureggiante nelle fughe rocambolesce); la seconda è in linea alla tipologia del genere e, se giocato con molta “calma” (semmai riusciste a restare calmi), con una decina di ore si può portare avanti tranquillamente.

Commenti finali
Come già visto anche nel finale del primo, anche in Outlast 2 nulla è dato per scontato e i RedBarrels non si son adagiati sugli allori come si potrebbe aver pensato nei mesi scorsi. Il risultato è un gioco dove massima libertà artistica dei loro autori viene a galla con grande piacere (nostro soprattutto) nonchè titolo che conferma ulteriormente le enormi possibilità che il genere può offrire. Affianco a Resident Evil 7, in assoluto l’opera horror di riferimento di questa prima metà di 2017.