Avevo scritto l’ultimo Out of Land nel 2017 parlando del bellissimo Ori and the Blind Forest. Con l’acquisto di Xbox Series X e l’ingresso in quel tunnel assuefante chiamato Game Pass, non potevo non riprendere la rubrica ripartendo dal suo seguito.

Per chi non lo sapesse, Out of Land è una rubrica dove chiacchiero a ruota libera su un gioco non appartenete al mondo horror. Non si tratta decisamente di una recensioni ma di un insieme di pensieri su cosa il gioco abbia saputo trasmettermi.

Un seguito agognato

Ori and the Will of The Wisps era rimasto un mio “sogno proibito” da anni, fin da quando era stato annunciato nella E3 2007. Il contesto è una delle presentazioni più belle e poetiche di sempre: il compositore Gareth Coker sul palco al pianoforte a introdurre il primo trailer.

Non c’è gameplay, non c’è un dialogo: solo musica e immagini di un mondo in rovina e che, forse in fondo, rende l’idea del mondo in cui viviamo (Covid a prescindere). Una presentazione che mi aveva colpito a tal punto da spingermi prima a giocare a Ori and the Blind Forest (e a pubblicare il relativo articolo qui su Land of Rust) e poi, sempre nel 2017, a vedere un concerto dello stesso Coker in un festival tenutosi a Breslava (Polonia). Il mio legame verso la saga di Ori si è quindi rafforzato e solidificato in un battito d’ali. Il motivo è perchè probabilmente ha avuto il pregio di farmi “evadere” dal mio habitat abituale (quello dei survival horror). Colori brillanti, epicità, poetica e sensibilità sono elementi che mi hanno personalmente toccato.

Purtroppo, se the Blind Forest ero riuscito pelo pelo a farlo partire sul mio PC ferro vecchio, per The Will of the Wisps (disponibile solo su Xbox, Switch e PC) ho dovuto attendere appunto di passare al lato oscuro del gaming.

Ori and the Will of the Wisps, alla fine, non si discosta troppo dal suo predecessore in termini di messa in scena e presentazione: il gioco mantiene ben saldo lo stile e l’incanto che hanno sancito il successo di the Blind of Forest. Ciò che è stato di fondo esteso è il gameplay: Ori ha a disposizione più abilità, più poteri e più missioni da compiere rendendo il titolo leggermente più longevo del predecessore.

La mia sensazione è che stavolta il gioco sia stato reso più accessibile, mi ricordo nel primo c’erano alcune sezioni dove c’era letteralmente da impazzire. Qui non ho mai provato quella sensazione (tenendo conto chiaramente che più “invecchio” e più ludicamente parlando mi arruginisco). Come se Moon Studios avesse preferito tenere la difficoltà più bilanciata per consentire alla maggior parte del pubblico di terminare il gioco senza troppi patemi. Non è comunque un elemento che ha pesato negativamente: sicuramente, da una parte, si ha meno sensazione di trial and error rispetto al primo Ori.

Per carità: il gioco rimane sempre abbastanza difficile. In particolare nelle fasi contro i boss dobbiamo adottare un minimo di senso strategico e individuare quelli che sono i punti deboli del nostro nemico.

Un gioco che mantiene quindi grande solidità e integrità sia sotto il profilo del gameplay ma soprattutto sotto il profilo del level design stile metroidvania curato sotto ogni dettaglio. Il risultato è un gioco quindi, oltre che bello da vedere, anche dannatamente divertenete e appassionante da giocare.

La narrazione rimane fedele chiaramente alle tematiche già viste in the Blind Forest: da una parte c’è una chiara (ma non troppo sbandierata) vena ecologista e dall’altra il tema tanto caro della diversità e di come questa comporti conflitti e disturbi. Quest’ultimo era un elemento visto anche in the Blind Forest. Forse il mio dubbio è quello di averlo “bollato” un po’ troppo e schiaffato in una cut scene senza invece presentarlo in maniera più graduale ma non importa.

Come già visto anche in Blind Forest, anche Will of the Wisps non disegna mostrare immagini “forti”. Seppur sempre in toni “cartooneschi”, Ori non si tira indietro nel mostrare anche immagini violente e rappresentare la morte. Il tutto sempre con una norme sensibilità capace di sciogliere anche i cuori più duri e insensibili.

Un insieme di elementi che, alla fine, risvegliano il nostro animo fanciullesco esattamente come faceva anche il suo predecessore.

Conclusione

E’ possibile che giocando a Ori and the Will of the Wisps si possa avvertire senso di dejavù per alcune similitudini con il suo predecessore. Per fortuna il gioco riesce ad essere ancora più appassionante e coinvolgente rispetto a the Blind Forest. Un gioco che fa bene al cuore per la sua capacità di commuovere e che fa bene alla mente per la sua capacità di intrattenere e divertire.