Quello che sto facendo è veramente insolito ed è sorprendente come, a 31 anni suonati, alcuni videogiochi siano capaci di lasciarti così spiazzato da compiere azioni “strane”. L’azione strana è proprio questa: fare una recensione divisa in 2 parti dove nella prima si evidenziano le caratteristiche tecniche mentre nella seconda si dà risalto agli aspetti puramente artistici dell’opera.

Atteso da anni e anni (quando era inizialmente previsto per PS3), The Last Guardian ha avuto anche questo “potere”: un lavoro così potente e mastodontico a livello emotivo che non me la sono sentita di mescolare la purezza poetica con le, oggettive, magagne tecniche di vario tipo. Ho trovato giusto perciò darci un taglio netto in modo tale che entrambi gli aspetti venissero maggiormente approfonditi (cosa che ho riscontrato poco in recensioni di grandi testate).

Senza esporre gli aspetti prettamente narrativi (saranno approfonditi nella seconda parte), The Last Guardian è la terza riproposizione di uno schema tanto caro all’acclamato designer Fumito Ueda: una coppia di protagonisti che si ritrova, per motivi più o meno ignoti, all’interno di una vallata dove sono presenti tracce e resti di antiche civiltà mitologiche. Chi ha già giocato a ICO e Shadow of The Colossus, pur non essendoci collegamenti diretti con le precedenti opere, troverà già familiare perciò certi elementi: lo stile dello scenario e la natura giovane del protagonista.

Il nostro co-protagonista rappresenta il piatto forte dell’intera produzione: una creatura un po’ topo, un po’ felino e un po’ volatile di nome “Trico”. Già nei precedenti giochi, come sapete, c’era un co-protagonista (in ICO abbiamo conosciuto la giovane Yorda mentre in SotC ci siamo sentiti degli eroi omerici in sella al nostro amato cavallo Agro) ma in The Last Guardian il suo ruolo viene elevato al quadrato così come la sua apparenza scenica. Trico è stato studiato e sviluppato affinchè potesse avere una natura molto più vicina a quella di un vero animale. Emblematiche sono le fasi iniziali in cui la creatura, ferita e spaventata, non vuole che ci avviciniamo rimanendo diffidente e sugli attenti. Sarà compito nostro, dandole da mangiare e rimuovendo le lance dal suo corpo, conquistare la sua fiducia. Una dinamica che mescola puro gameplay con puro sentimento, un marchio di fabbrica tipico delle opere Fumito Ueda.

Per molti versi The Last Guardian rimanda molto di più a ICO che a SotC: il protagonista rapito, la conseguenza ricerca disperata di una via di fuga, il rapporto che si instaura con il nostro partner, le meditative peregrinazioni tra le rovine e il superamento degli ostacoli rappresentano un ritorno al passato più che evidente.

Un passato che si fa sentire non solo in termini di sviluppo ma anche di design: oltre a un comparto grafico poco degno di un gioco first party PS4 (Trico è forse l’unica eccezione dato che sia le texture sia le animazioni sono perfette) è singolare la scelta, nel 2016, di lasciare il tasto Triangolo per il salto e, in generale, il gameplay è lo stesso identico di ICO. Parliamo quindi di un gioco uscito “vecchio” per scelta e non solo per i noti travagli dello sviluppo; un gioco che sembra provenire da una dimensione videoludica in cui il gameplay era ancora goffo e si doveva sottostare ai limiti delle console dei primi anni 2000. Si proveranno strane sensazioni nel giocare a The Last Guardian, sensazioni già viste anni e anni fa: salti non sempre precisi, gestione delle collisioni non sempre impeccabile, fasi platforming “faticose” e in generale un poco senso di solidità nei comandi. Una cosa che si riscontra soprattutto quando si sta in groppa a Trico: a volte si fa letteralmente fatica a scalarlo perchè, vuoi la telecamera a volte “ballerina” e i comandi non sempre reattivi, spesso e volentieri il protagonista “va per i fatti suoi”.

Sempre quando si sta in groppa a Trico, possono capitare cose imprevedibili: per esempio vorremmo raggiungere una piattaforma e, per quanto premiamo il tasto Triangolo, il protagonista non ci pensa proprio a saltare continuando a restare in groppa alla creatura. Una vera rogna invece quando succede il contrario: magari, per raggiungere la testa di Trico, il protagonista per sbaglio “salta” rischiando di cadere giù in un burrone infinito.

Non lo considero un eufemismo definire il gameplay di The Last Guardian un “simulatore di morte accidentale” proprio per il senso di insicurezza generale che, davvero non è una battuta, in alcuni punti mi ha fatto rivivere certe sensazioni che avevo vissuto nei primi Tomb Raider dell’era Core Design. Questo putroppo, ahimè, non è affatto un pregio perchè va bene rievocare il passato ma si doveva oggettivamente fare un lavoro migliore. Un altro esempio riguarda sempre il gameplay mentre si sta in groppa a Trico che è, di fatto, una variante del gameplay di SotC (quando Wander si aggrappava ai colossi per raggiungere i punti deboli) ma in quest’ultimo, paradossalmente, la giocabilità era più solida e sicura (anche se più faticosa in quanto si doveva tenere costantemente premuto il tasto per restare aggrappati).

In generale quindi, giocando, non si è rassicurati completamente come non si rassicurati a volte dal comportamenti di Trico: a un certo punto del gioco, nel gameplay viene compresa la possibilità di “impartire” dei comandi a Trico affinchè quest’ultimo compia per noi determinate azioni (tipo saltare, andare in una determinata direzione ecc.). Il problema è che, una volta individuata la soluzione del puzzle, gran parte delle volte chiedere a Trico di fare una azione è snervante e frustrante perchè 9 volte su 10 non risponde o comunque risponde con estrema lentezza. Qualcuno la potrebbe giustificare con l’aspetto “imprevedibilità” dell’animale ma è una tesi che non giustifica un gameplay del genere perchè, purtroppo, va a danneggiare l’esperienza di gioco.

Si è parlato molto delle telecamere ma in generale questo è un male minore perchè, qualunque giocatore attempato, sa bene che gestire una telecamere in un luogo chiuso e con un bestione come Trico è decisamente difficoltoso. E’ un cosiddetto difetto “storico” che non verrà mai risolto.

Molto più grave invece, per chi è possessore come il sottoscritto di una PS4 non Pro, è la presenza di cali del frame rate soprattutto nelle fasi più concitate ed emozionanti (tipo quando Trico effettua i suoi poderosi balzi). Non è bello vedere le scene di battaglia di Star Wars e ritrovarsi i frame abbassati improvvisamente, non trovate? Per fortuna che ho giocato anche con la patch del day one. Qui si alza le mani: veramente inconcepibile per un gioco che non richiede performance così elevate.

Questa era una rassegna dedicata al lato squisitamente tecnico di The Last Guardian e, descritto così, sembra si stia parlando di un flop spaventoso e figlio del travaglio vissuto. Non è ovviamente così e nella seconda parte (dedicato alla controparte artistica) ne verranno esposti i motivi.